REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. I CAMPI DI PRIGIONIA IN ITALIA             


 
SAN ROSSORE: 339° POW CAMP Una cronaca e due testimonianze di reduci della San Marco
 
 
    Lo spirito che animò gli uomini di San Marco, e tutti coloro che si schierarono con la Repubblica Sociale Italiana, non fu spezzato dalla sconfitta dell'aprile '45, e li sostenne, orgogliosi dei loro ideali, nei campi di prigionia militari, nelle carceri e per molti di loro fino davanti ai carnefici che ne fecero strage. In memoria di quanti soffrirono la durezza dei campi di concentramento, e di quanti vi trovarono anche la morte, SAN MARCO ha pubblicato due anni fa in edizione integrale i sei numeri de "Il Megafono", giornale murale interamente scritto ed illustrato a mano nel Campo P.O.W. 337L/5 di Coltano da prigionieri di guerra per i loro camerati. Questo volume, meglio di qualsiasi discorso, illustra l'animo con cui venne affrontata quella prova. In esso appare chiara la volontà di non rinnegare nulla del proprio passato, e, contemporaneamente, quella di prepararsi ad affrontare nel modo migliore, una volta tornati alla vita civile, il mondo che li attendeva oltre i reticolati. Pensiamo di fare cosa gradita ai lettori che ancora non lo abbiano richiesto, nel ricordare che è ancora possibile avere copie del volume sia nell'edizione normale a lire sessantamila che in quella numerata a lire centoventimila. In realtà per molti Coltano non fu il primo campo di prigionia. Molti trascorsero un primo periodo nel Campo di San Rossore. Alla rievocazione di quei giorni sono dedicati gli scritti che qui di seguito vi presentiamo. La diversa origine ne giustifica il diverso tono e la diversa lunghezza. Un articolo il pezzo di Davide Del Giudice, brani di un libro di memorie quello di Sergio Moro, frammenti di una lettera il contributo di Saverio Rizzi. Li unisce la dirittura delle coscienze, la semplicità e lo spirito indomito (N.d.R.) 
 
SAN MARCO N. 21. Luglio-Settembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

San Rossore 1945

"MARO' A 16 ANNI" (da)
Sergio Moro
 
 
    Provenienti da Alessandria dove abbiamo sostato una sola notte, e diretti a Genova via ferrovia, una volta giunti venimmo sistemati con altre centinaia di soldati della Repubblica Sociale Italiana nel campo sportivo di calcio di Marassi. Nuova perquisizione eseguita dalla polizia militare americana all'ingresso del campo. Mi sequestrano il cucchiaio. Non ho più nulla: fazzoletti, pettine, gavetta mi erano già stati tolti in precedenza dai partigiani.
    Il giorno del trasferimento da Alessandria a Genova sono sicuro di non avere ricevuto pasti da parte dei vincitori. Svegliati all'alba, incolonnati verso l'uscita del campo, dove era in attesa una colonna di camion americani guidati da militari negri, veniamo trasferiti a sud.
    A nord era pericoloso sostare, perché era ancora in corso la liberazione di grandi città.
    Si parte: la meta è Pisa.
    Lungo il percorso Versilia - Massa Carrara, veniamo aggrediti da civili, con una fitta sassaiola.
    Vengo raggiunto al petto da un grosso sasso che di rimbalzo mi cade sulle ginocchia; mani più leste delle mie lo raccolgono e lo rigettano con violenza verso la parte degli assalitori. La strada ancora dissestata dal furore della guerra, non era ancora sistemata, perciò la colonna dovette rallentare e così incappammo nella sassaiola.
    Si prosegue più celermente una volta lasciata la zona disastrata.
    Nel pomeriggio si giunge al campo di San Rossore, allora tenuta reale di caccia. In otto soldati prendiamo posto sotto una tenda. Il campo è situato su un terreno sabbioso, meno male perché si dorme a terra, senza coperte. Al mattino presto sveglia, e subito adunata e in riga. A pochi passi dalla mia tenda, verso l'ingresso del nostro recinto vedo due camerati morti. Mi avvicino con altri e riconosco dai gradi e dalla divisa che sono due sottotenenti della Guardia Nazionale repubblicana. La voce che circola è che le guardie hanno sparato perché i due hanno tentato la fuga. Ma se li separavano ancora molti metri dal cancello, perché sparare loro? Comodo dire "Volevano fuggire! " erano caduti riversi in direzione della strada che divide i vari campi, all’interno del campo, e non verso i reticolati all’esterno. Mistero! Non voglio lanciare accuse, ma gli americani bevevano molto, e sparavano per un rumore qualsiasi all’interno del campo. Del gruppo che occupa la tenda fa parte anche il mio ritrovato sergente, solo pochi giorni prima, con un gesto eroico si addossò una colpa non sua per salvare altri dalla fucilazione. Mi racconta che l'avevano picchiato e gli avevano tolto gli occhiali: era molto depresso. Finalmente si mangia, vengono distribuite scatole da dieci razioni americane alle quali vengono tolte sigarette, zucchero e, non sembra vero, i tagliaunghie. Le scatole contengono frutta, minestra, verdure disidratate. Basta metterle a bagno in acqua che tutto ritorna a grandezza naturale. Per noi era un'assoluta novità. Quanta roba avevano gli americani!
    A fianco avevamo ucraini che avevano aderito all'esercito di Hitler. Erano ancora tutti in divisa della Wermacht, da loro ci divideva una barriera di filo spinato alta tre o quattro metri. Con gli ucraini, attraverso la rete, si barattavano orologi, penne stilografiche, anelli, medaglie, catenine in cambio di pane. Noi buttavamo la merce di scambio oltre la rete, loro la prendevano e sparivano di corsa. E noi a pensare: addio orologio! Invece andavano da qualcuno a farlo visionare e ritornavano con il pane. Erano leali!
    Noi eravamo un poco "carognette" conoscendo il destino che li aspettava, lavori forzati a vita e molte fucilazioni perché avevano tradito. Li sfottevamo dicendo "Piccolo padre Stalin zac! Taglia la testa a tutti". Non abbiamo sbagliato, riconsegnati ai sovietici, tutti persero la vita. A loro favore voglio ricordare che erano ucraini invasi dai russi, quindi rivolevano la loro autonomia, che i loro connazionali oggi hanno ritrovato.
    Nel recinto di fronte a noi, oltre la strada interna che percorreva tutto il campo, erano prigioniere le Ausiliarie, Corpo femminile in divisa e come noi vincolate da un giuramento. Erano molto compite, orgogliose, disciplinate e forti nel loro disagio. Ma il più eccezionale compagno di prigionia che ci capitò fu un partigiano. Al nostro arrivo a Genova alla Stazione di Porta Brignole, per raggiungere lo stadio di Marassi avevamo dovuto passare tra due ali di folla inferocita. Noi vinti, in silenzio, ma fieri, uniti San Marco con San Marco, Alpini con Alpini, inquadrati, ufficiali in testa, ai quali sono maggiormente rivolti insulti e sputi.
    Gli Alpini sono in gran numero. Improvvisamente due di loro escono dalle file, sollevano di peso il più agitato di tutti quelli che c'insultavano, alto, magro, giovane, e lo intruppano con loro. Nessuno mi crederà, ma condivise con noi tutto il periodo di prigionia. Ad alcuni di noi anzi insegnò il gioco degli scacchi. Era stato soprannominato da alcuni "Palmiro", da altri "Stella Rossa".
    Nei primi giorni di reclusione aveva fatto un gran sbraitare a ridosso del filo spinato che separava noi militari dalle guardie americane, proclamandosi partigiano: nessuno l'ascoltava. Sarebbe stato buon gioco di tutti proclamarsi partigiani, con la speranza di vedersi aperto il cancello della libertà. Si rassegnò, e divise con noi sei mesi di stenti.
 
 
SAN MARCO N. 21. Luglio-Settembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

 
SAN ROSSORE 1945/1998
Davide Del Giudice
 
 
    All’interno del parco naturale di San Rossore, già tenuta reale dei Savoia ed in seguito tenuta presidenziale, nel 1945 gli americani allestirono un grande campo di prigionia denominato "POW Camp n° 339".
    In realtà non si trattava di un solo campo, ma di diversi settori della grande tenuta che vennero disboscati e disseminati di baracche e tende. Prima dei prigionieri italiani della RSI e dei tedeschi, vi avevano trovato alloggio le varie divisioni alleate in addestramento o a riposo dal fronte. I prigionieri arrivarono qui nel 1945 e quasi tutti i soldati repubblicani vi soggiornarono prima di essere inviati nei campi di Coltano. A San Rossore vissero la prigionia anche molti volontari dei paesi dell'Est Europa arruolatisi nella Wermacht. I soldati repubblicani, e tra di essi molti uomini della SAN MARCO, non stettero troppo male a San Rossore, perché il cibo era sufficiente (razioni da combattimento USA in pacchi di cartone), e il dormire sulla soffice sabbia non era proibitivo nelle miti notti di maggio. La dura prigionia di Coltano sarebbe venuta di li a breve. Gli italiani, in ogni modo, approfittando delle manchevolezze dei servizi di guardia dei soldati di colore della 92a Divisione USA, riuscirono in diversi casi a fuggire, come un ufficiale della "Leonessa" che, afferrato il Garand ad un soldato alleato glielo assestò pesantemente sul capo, fracassandogli il liner dell'elmetto, fuggendo poi in maniera rocambolesca, assieme ad un camerata e vagando per giorni nella tenuta, dormendo nelle tane dei cinghiali, prima di raggiungere l'agognata libertà. Non altrettanto bene andò il tentativo di fuga di due giovanissimi gemelli livornesi già ufficiali della GNR; furono visti allontanarsi dalle sentinelle e falciati senza pietà. Era il 5 maggio 1945. Nei giorni successivi le razioni individuali calarono notevolmente e le sigarette cominciarono a scarseggiare. Il 10 giugno 1945 i prigionieri italiani furono incolonnati a piedi e, passando per Pisa tra gli scherni ed i lazzi della popolazione, raggiunsero i campi 337 e 338 di Coltano: Oggi, dopo 53 anni, solo alcuni spiazzi ancora disboscati e diverse scritte in inglese ormai sbiadite su quelli che furono i muri delle autorimesse, ci ricordano che in questo luogo un tempo c'era un campo di prigionia. Ma la sabbia cela in se ancora preziosi cimeli che il nostro fidato metal detector individua dopo ore di paziente ricerca. Affiorano tra le altre cose un Leone di San Marco con ancora tracce di vernice rossa, ed un gladio da giubba, mute testimonianze d'uomini coraggiosi che in un tempo ormai lontano sacrificarono la loro giovinezza e poi anche la vita in nome degli ideali di Patria e Onore.
 
 
SAN MARCO N. 21. Luglio-Settembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
 

FUGA DA SAN ROSSORE Estratto da una lettera di Saverio Rizzi
 
 
    ... dopo Uscio veniamo circondati e catturati dagli americani. La prima notte di prigionia la trascorriamo a Gattorna. Il mattino successivo siamo scortati fino a Lavagna.
    Durante il tragitto a piedi, la gente c'inviava tutti gli epiteti possibili, ma noi procedevamo cantando i nostri inni. Non fummo malmenati solo perché gli americani lo impedirono armi in pugno. Il giorno dopo siamo trasferiti coi camions a San Rossore. Passano quaranta giorni e quaranta notti interminabili. Nessuno può scrivere a casa per avvertire i familiari del nostro destino, e sono in ansia per i miei che ignorano tutto della mia sorte.
    Il 10 giugno 1945 radio campo sparge la notizia che saremo trasferiti, chi dice in America, chi al Sud. Tante sono le voci. Il settore in cui ero rinchiuso coi miei camerati era dal lato opposto alla spiaggia. In mezzo vi era la strada interna del campo, oltre la quale vi era un settore ancora vuoto, che a sua volta dava verso la spiaggia. Quel settore vuoto forse era meno sorvegliato? Probabile. Uscire dal campo sembrava quindi una cosa possibile, ma poi? Non potevo certo andare in giro in divisa della San Marco. Io non fumavo, ed avevo accumulato nello zaino parecchi pacchetti di sigarette fin da prima di essere fatto prigioniero. Trovo tra i prigionieri un civile che accetta di darmi il suo vestito in cambio delle sigarette. Non mi spaventano certo i reticolati, né le sentinelle dai musi neri, e in quella notte decido la fuga solitaria. Oltre tutto nessuno mi aveva mai chiesto le generalità, e penso che non sapessero nemmeno bene quanti eravamo. Come avrebbero fatto a riprendermi, una volta che fossi arrivato a casa? Indossati gli abiti civili, dopo la mezzanotte attraverso il viale interno entro nel settore vuoto e giungo ai reticolati. Attendo un po’ di tempo: nessuno si muove. Mi butto fuori e via nella pineta. All'alba sono alla periferia di Pisa. Poi, attraverso l'Appennino, arrivo a Bologna, quindi a Padova: era il 13 giugno. Infine a Bassano del Grappa termina la mia fuga e ritrovo la mia famiglia. 
 
 
SAN MARCO N. 21. Luglio-Settembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

DOMUS